Libera-mente di Fabio Borghino

"Tant'è amara che poco è più morte": trauma e dissociazione

“Ecco, ci risiamo. Quando sbatte la porta in quel modo la serata non promette bene”… Un brivido percorre la schiena di Simona da cima a fondo ed è come se i suoi sensi si rianimassero improvvisamente da una sorta di torpore nella penombra di quella mansarda. Il silenzio della cucina al piano di sotto sta lasciando freneticamente spazio alle ferme scuse di mamma, come se si sentisse in colpa per chissà quale motivo nei confronti di quella bestia, mentre le accuse si trasformano in minacce, che diventano urla, che irrompono nel suono cupo e sordo di quei colpi sul suo volto; come i battiti intermittenti di quel terrore.
“Tra poco tocca a me… Ecco che sale le scale…”.
Non puoi scappare Simona. Non puoi difenderti Simona. Lasciati andare… È il tuo corpo che te lo chiede come ultimo disperato tentativo di sopravvivenza.
Non esiste trauma peggiore della minaccia alla vita proveniente da chi ci ha donato la vita. 
Coloro che si sono macchiati di questo scempio, del tradimento all’appartenenza umana, sono sepolti nel ghiaccio dell’infernale cocito dantesco, perché chi ha minato le fondamenta dell’essere umano in relazione adesso patisca il dolore più terribile che la mente umana possa concepire: il vuoto assoluto della desolazione.
La notte è passata. Eccolo là, con le spalle curve e il volto coperto dall’onta della vergogna. 
“Patisci la colpa di avere martoriato tua moglie e tua figlia in preda ai tuoi raptus di follia! Cosa ne possiamo noi se il tuo lavoro non va come vorresti! Se non abbiamo i soldi per pagare i tuoi debiti! Morirai da solo perché dimenticheremo la pena…!
Vieni mamma. Lasciamo da solo questo… Andiamo!”.
I petali dei ciliegi selvatici del parco si disperdono nella gelida brezza di questo pomeriggio di marzo. Oggi quel tappeto bianco è oltraggiato dalle feci dei cani.
“Mamma come starà papà? Non sarò stata troppo dura con lui secondo te? Non sarebbe il caso di andare a casa a preparare qualcosa per cena? Dobbiamo fare qualcosa. Dobbiamo aiutarlo”.
L’abuso fisico intrappola le mente ed il corpo in un triangolo drammatico di stati mentali dissociati tra loro; parti di sé che non possono comunicare; persecutori vittime e salvatori capaci di alternarsi repentinamente e senza preavviso. 
Ecco quel padre persecutore trasformarsi in una vittima della sua stessa colpa, ma al contempo nel salvatore di una povera famiglia monoreddito. Ecco gli occhi di quella figlia sfigurata dalla violenza subita trasformarsi in desiderio di sangue nei confronti di un aguzzino vergognoso e quindi in compassione materna, in uno stravolgimento di ruoli contro natura. Una depressione dell’anima. La perdita di sé. La dissociazione.
La mente umana non è preparata a ciò che non ha senso. Può tentare di sopravviverci, ma a che prezzo? 
Posso assumermi la responsabilità di accostarmi con permesso ed in punta di piedi a questo dolore senza la pretesa di comprenderlo, ma di rispettarlo. Una via d’uscita è possibile…