Fermo immagine di Alberto Abbà

Ciao Adriano

Una folta barba scura e il capello arruffato. L’occhio attento, la battuta pronta su un carattere appuntito. Un sorriso rapido. Un fisico asciutto e nervoso spesso rivestito con maglietta e pantaloncini.
Una famiglia numerosa con i tratti sul volto di una bella libertà gitana.
La casa in campagna e quell’aria da avere il più possibile sulla pelle.
Gli amici fidati, le discussioni accese, l’abbraccio di una fisarmonica, il vino a dissetare gole sempre troppo asciutte. Le sigarette alla menta. Un furgone pronto ogni volta a ripartire.
Le mani, quelle mani usurate, anche loro utensili speciali come quelli dell’impresa di una vita.
Il logo con una lettera e un numero: l’iniziale, eredità di famiglia che si tramanda, il numero quello dei punti cardinali. Quella sigla poi scolpita nel nome di una società sportiva.
Quei trofei alzati da ragazzini con la maglietta rossa e la tuta grigio-azzurra, ogni volta pronti a diventare grandi. 
Basta chiudere gli occhi per ritrovarsi in quelle estati e quei campeggi, fatti di tende nei prati, lunghe tavolate traballanti, chilogrammi di pasta e sugo rosso a cuocere in grossi pentoloni, reti di metallo dei letti non per dormire ma per cuocere la carne.
Lavarsi in un fiume di montagna, fare i bisogni riparati da un telo scuro in mezzo al bosco.
Luci di lampade a gas, di pile frontali e di falò a cantare la notte. Digestivi fatti in cantina da smaltire in quelle camminate improvvisate all’alba. 
Basta chiudere gli occhi, per rivedere quei volti, sentire le voci e gli odori pungenti.
Quel tempo scandito dal tic tac di sottofondo, di una pallina da ping pong, che continua a rimbalzare.   
Con la mano alzata in silenzio per un grazie in un ultimo saluto.
Ciao Adriano, sponsor vero e testimonial d’eccezione di quel mondo semplice, custodito in una lettera e un numero.
     
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