Fermo immagine di Alberto Abbà

Biblioteca umana

In Danimarca esiste un posto dove non si prendono in prestito libri, ma persone. Non si portano a casa, ma si resta all’interno dello spazio di una speciale biblioteca. E per fare cosa? Per farsi raccontare una storia, proprio quella della “persona in prestito”.
Ne ha parlato recentemente in TV un giornalista della RAI (PIF).
Le storie raccontano temi delicati che possono essere causa di pregiudizio, razzismo, emarginazione. Raccontano minoranze e problematiche sempre attuali. Disabilità, malattie, fragilità, istinti. Così a seconda della persona puoi trovarti a parlare di omosessualità o di religione. Puoi approfondire il pensiero di chi vive una specifica cultura del cibo o la poligamia. Con chi ha tentato il suicidio o subito una violenza, con chi convive con un tumore, con chi è fuggito da guerre, con chi ha fatto una scelta che l’ha condannato al giudizio.
Al di là del proprio credo, nessuno ha creato il progetto per convertire la gente al pensiero “comune”, ma per andare un poco più in profondità, ascoltando un altro punto di vista rispetto al proprio: quello privilegiato di chi vive in prima persona l’argomento trattato.
Il dialogo aiuta a capire e forse ad avvicinarsi a comprendere, magari anche solo a come comportarsi con certe persone che vivono i loro drammi.  Un’idea originale, in cui di base, servono soltanto due persone in grado di mettersi in gioco.
Il passo che mi viene da pensare è breve. Se ci guardassimo intorno, potremmo accorgerci che i libri umani sono ovunque e che non servono biblioteche apposite. Non indossano titoli, ma vestiti.
Chi lo sa, se mai ci venisse la voglia di fare una domanda a qualcuno nel nostro raggio di azione. Certo potrebbe arrivarci un insulto o magari uno sguardo perplesso oppure… una risposta.
Le storie iniziano così, uno che chiede e uno che risponde.   
albiabba@libero.it