Fermo immagine di Alberto Abbà

Provare vergogna

Si giocava la finale di un torneo di paese. Era un pomeriggio di settembre, la festa del santo patrono e a quei tempi andavano più di moda le bocce rispetto alle racchette del padel e del tennis.
Adesso quella bocciofila non c’è più, sostituita da campi con le reti, uno anche al coperto.
In finale due coppie, una composta da fratelli quasi coetanei sui quattordici anni, l’altra più sbilanciata, un ragazzo più grande verso la maggiore età e l’altro di una decina appena. I sorteggi funzionano così.
Partita combattuta, ai dodici. Nessuno vuole perdere, punto su punto. Le coppie sono affiatate e con compiti ben precisi, chi parte per primo ha l’obiettivo di avvicinarsi al pallino, il secondo di bocciare aggredendo la boccia avversaria che fa punto o di incrementare il punteggio. 
La coppia dei fratelli sembra avere la meglio nel gioco decisivo. 
Il più piccolo fa una smorfia di disapprovazione: se solo quella boccia fosse qualche centimetro più in là si potrebbe ancora andare avanti e giocarsela almeno per un’altra mano. Il piede sulla boccia per un minimo spostamento in un momento non visto e il gioco sarebbe fatto. Ma il cuore aumenta i battiti, sudorazione al massimo, pugno allo stomaco, capogiro. La boccia resta dov’è, il piede la lascia libera, la partita è persa. 
Il ragazzino si guarda intorno, nessuno si è accorto di quell’intenzione in un tempo eterno durato un istante eppure tutti gli occhi di chi batte le mani sembrano indagatori e accusatori. 
Medaglietta d’oro ai vincitori, coppa argentata con mattonella di marmo alla base ai secondi classificati e appuntamento al prossimo anno.
Provare vergogna, anche solo per un’intenzione non trasformata in un gesto maldestro.
Custodire nel tempo, quel senso e quel malessere, a monito, nella consapevolezza che certi gesti poco aggiungono e molto tolgono. 
albiabba@libero.it