Parole da conservare di Cetta Berardo

Mamma mia

Oh, povero me!, santo cielo!, al fuoco!, al ladro!, per carità! mamma mia: i nostri discorsi quotidiani sono costellati di queste espressioni che danno colore e animazione al nostro modo di comunicare. La grammatica le definisce locuzioni interiettive o espressive, per noi un modo per riempire la bocca, animare il nostro vissuto.
Quella che aleggia di più è Mamma mia! usata per motivi diversi, a seconda del contesto, del tono di voce, dell’espressione del volto, delle emozioni che proviamo.
L’altro giorno Teresa, ottant’anni, alla notizia della tragedia di Cutro, con le mani tra i capelli, ha esclamato con forza: Mamma mia! Di fronte a quei morti, quale espressione poteva essere più efficace, più intensamente compassionevole che quella della signora Teresa? 
Quando Ciro, di tre anni appena, ha rovesciato per terra i barattoli di pasta, per lui un gioco divertente osservare quelle forme di pasta diverse tondeggianti, allungate, piccole o grandi sul pavimento, dalla nonna non è fuoriuscito che un Mamma mia!, tra l’arrabbiato e l’affettivo. Un disastro, sì, ma tutto sommato innocuo. 
Se Sara di otto anni al pianoforte improvvisa a memoria il minuetto di Mozart e il genitore esclama Mamma mia! è per meraviglia, stupore. In fondo quella figlia bambina, che nelle ore libere gioca ancora alle Barbie, è un genio musicale. Quasi non lo crede. Ma da dove viene questa espressione? 
E perché il popolo italiano la utilizza così frequentemente da generazioni? Siamo mammoni, noi italiani? Dal lessico parrebbe di sì. E mamma mia è un punto di riferimento: non solo per stirare camicie a maschi pretenziosi, a cucinare per mariti, figli e nipoti, per ramazzare la casa, ma anche come punto di riferimento vitale. 
E i versi di Marino Moretti esprimono appieno il significato: Mamma. Nessuna parola è più bella.