Via che vai di Anna Maria Faloppa

Via Vittorio Risso

È quasi un risarcimento morale l’intitolazione di “via Vittorio Risso” (Saluzzo,10.10.1901- 26.12.1949), attribuita a una traversa di via Fratelli Gagliardone con deliberazione della Giunta comunale n.28 del 23 gennaio 2003, in un nuovo quartiere in cui i nomi delle vie celebrano l’arte e la creatività dei Saluzzesi.
Nato in una famiglia contadina di San Lazzaro, Risso stenta la sua breve vita di pittore autodidatta tra la miseria, le malattie e il lavoro pesante e precario di muratore e imbianchino.
Non ha frequentato accademie, non è inserito in circoli artistici, non ha occasione di viaggiare né di frequentare musei e dunque è ignorato, quando non addirittura osteggiato dall’ambiente artistico contemporaneo saluzzese, nell’ambito del quale è ritenuto un dilettante presuntuoso, che ha iniziato copiando – in realtà, reinterpretando con originalità di pennellata e di colore – le cartoline.
Nonostante le positive recensioni di Marziano Bernardi, Alfonso Gatto, Luigi Carluccio, Angelo Dragone ottenute dalla “Personale” del 1946 alla Libreria Faber di Torino, (organizzata grazie alle critiche favorevoli di Alberto Rossi dopo le mostre a Saluzzo nel 1941 e nel 1943), la sostanziale indifferenza del pubblico lo accompagnerà fino alla fine.
“Risso morì quasi d’inedia”, scriveva Miche Berra nel 1995, “al cospetto dei suoi quadri, che nessuno, neanche per poche lire, gli acquistava, cosciente tuttavia del proprio valore e convinto di aver detto anche una parola sua nella pittura che rimane”. 
E ancora: “Un petit Van Gogh, non meno disperato del grandissimo Vincent, che sottrasse la sua pittura ad un convenzionalismo tradizionale, pur mantenendo le ispirazioni di ossequio al vero”.
Restano di lui la figura piccola e magra, l’andare solitario e dimesso, il povero funerale di 4a classe accompagnato da un solo sacerdote e da pochi parenti e amici, ma anche le “immagini vibranti di poesia e malinconia, espresse con la genuinità e la genialità  di un vero artista” (Nino Tagliano, 2001)