Parole da conservare di Cetta Berardo

Abito

Per Pasqua, quando ero ragazzina, era un rito acquistare il tailleur o, se si era in periodo di magra, la camicetta, che segnava l’avvento della bella stagione.
«Un capo nuovo per un guardaroba d’antan», era la filosofia di casa. Poi con la mise rinfrescata, il passeggio era d’obbligo in piazza dove c’erano le giostre o nel centro tra le bancarelle della fiera di Pasquetta. Oggi tutto è cambiato, sneaker e jeans, stinti o sgargianti, firmati o dozzinali, abbinati a maglia, giubbotto, e magari cappellino, costituiscono il look dei giorni di festa. E’la forza dei giovani, a cui si sono aggregati anche gli over 50. Per praticità, s’intende. 
Tra le mani ho il libro di Balzac Trattato di vita elegante, non un romanzo ma un saggio del 1830, in cui lo scrittore riflette sul modo di comportarsi e vestirsi, di costruire la propria immagine attraverso gli abiti. Il suo uomo elegante fa i conti con la figura dello snob, del dandy, nella zona intermedia fra l’Ancien Régime, il mondo aristocratico e il mondo nuovo in cui l’ascesa sociale diventa una regola. Testo da rileggere, per la miniera di consigli. L’abito infatti racconta molto di noi, influenza la nostra visione del mondo o ne è un riflesso.
Ad esempio rifiutare di indossare vestiti firmati è una scelta di vita, optare per ciò che è pratico e funzionale è un modo di muoverci nel mondo, indossare il cappello, per le donne, non è solo un vezzo, ma una strategia per vincere spesso timidezze ed essere più sicure. Diventando personaggi. 
Virginia Woolf  diceva: «Per quanto sembrino cose di secondaria importanza, la missione degli abiti non è soltanto quella di tenerci caldo. Essi cambiano l’aspetto del mondo ai nostri occhi e cambiano noi agli occhi del mondo». 
Dunque la nostra presentazione. Indipendentemente dal costo dell’abito.