Fermo immagine di Alberto Abbà

Non sono favole

Una scena di fine secolo scorso. Un nonno osserva i due nipoti giocare al parco.
Una fresca primavera di aprile, che fa tenere il cappello in testa e le mani in tasca. Il pallone arriva sotto una vecchia targa commemorativa. Il bambino recupera la palla colorata e prova a leggere l’incisione. Ci sono due date e un nome cancellato. L’altro bambino impaziente vorrebbe riprendere a giocare e protestando si avvicina. Anche il nonno, piano, li raggiunge.
“Nonno, chi era quel signore della lapide? Era degli anni tuoi”. “Si, io sono stato più fortunato, era solo un ragazzo e morire a diciotto anni è triste”.
E l’altro: “Perché è morto così giovane?”. E il nonno sospirando: “Vedete? In quegli anni ‘40 c’era la guerra, sono stati anni brutti e difficili. In molti paesi ci sono targhe come questa che ricordano chi è stato ucciso da nemici che prima erano amici”.
Il nonno resta davanti a quella lapide senza nome, con sopra un mazzo di fiori secco, che forse verrà sostituito per il solito anniversario del 25 e poi resterà lì, per un altro anno. Pensa che quando non ci saranno più testimoni diretti come lui, che la guerra l’hanno vista e vissuta, i racconti sembreranno favole lontane. 
“Dai nonno, non stare lì davanti, è ora di andare a casa a fare la merenda”.  “Arrivo, aspettatemi, che intanto che andiamo vi racconto una storia” – e con il fiato corto prosegue – “immaginatevi la vostra classe e un giorno il maestro che dice che da domani chi ha gli occhiali non può più andare a scuola. Che i professori figli unici non possono più insegnare. Che i medici donna non possono più curare. E che chi ha un cane o un gatto viene caricato su un treno di sola andata per la Polonia”. 
“Ma nonno, stai bene? Cosa dici? Queste cose non hanno senso”. “Esatto, avete ragione. Vi spiego perché, intanto che torniamo a casa”.  
albiabba@libero.it