Parole da conservare di Cetta Berardo

Vintage

Oggi va di moda, il vintage. Ai mercatini si va a alla ricerca di un oggetto vintage, nei negozi di un capo di abbigliamento vintage.
Stanno aprendo negozi dove accanto al nuovo si vende l’usato. La mia amica parigina, raffinata e misurata nel vestire mi ha detto: se vai in questi negozi trovi capi vintage di un certo livello, certo sono datati, di una moda di ieri, ma originale, non omologata. 
Mi piace osservare un oggetto d’arredo datato: il vecchio grammofono, o la sedia a dondolo di paglia di Vienna che negli anni cinquanta era il corrispondente di una Frau. 
Ma la parola che risuona così dolce e affascinante nasconde un segreto: il vocabolo  deriva dal francese antico vendenge che a sua volta deriva dalla parola latina vindemia; in senso generico indica i vini d’annata di pregio.
L’immagine da cui scaturisce il concetto del vintage non è quindi quella del mercatino in cui si vendono camicie, occhiali e calzoni degli anni ‘70; piuttosto è quella della cantina in cui sono conservate bottiglie di caratura sublime, scaturite da annate leggendarie. È questa immagine che scopre il nodo che unisce pregio e tempi passati: così il vintage, abbandonata la cantina, può diventare genericamente l’attributo di un oggetto di gusto e valore. Non sono vintage solo i calzoni a zampa d’elefante e le giacche con spalline imbottite: possono essere vintage delle idee di grande raffinatezza, che da qualche decennio non sono più in auge; possono essere vintage hobby e passioni démodé. 
Un Anonimo scrive: «Ho un debole per le cose vintage: la gentilezza, l’educazione, la riservatezza». Anche le parole riscoperte possono diventare un valore di stile e comportamenti. Ma recuperarle è più difficile che scovare un cappello con veletta degli anni trenta. Qui il denaro non serve: è questione morale.