Fermo immagine di Alberto Abbà

Fra le cose, perdute e ritrovate

Ci piaceva ballare l’estate su quei racconti. Ci era compagna la voce fedele di quei lunghi capelli sciolti e la musica dei suonatori, tanti: arrivati, rimasti, andati.
Da quelle sere a Pagno al teatro per beneficienza a Saluzzo. Un fiume di vita sotto i ponti. Tempo, quello che è d’oro, quello che non sa rimarginare, quello che sa essere lenta malattia e lenta cura. Parole come foglie al vento. Ognuno sulla propria collina a ricordare il padre di suo padre e tutti quelli che sapevano ascoltare la notte.
Anche il cielo sapeva che questa gente così veloce, sarebbe stata puntalmente in ritardo e con la voglia di starsene come un passero su un ramo. Ricucire la malinconia ripensando a quella lucciola nera che doveva volare a Sanremo, alla corte dei miracoli, accorgersi poi che valgono di più un sasso della strada e l’odore caldo della minestra.
Siamo l’indiano Seattle, il folletto Sarvanot, la piccola Ginevra, a volte anche solo un puntino di biro su un rotolo di carta igienica. Cerchiamo di respirare nel vento, senza catene, contenti del poco. Di fermarci a guardare la tela di un pittore, poi tutti giù per terra, fra inciampi di radici e destino. Vuoti da riempire, pelle da accarezzare e vita che rinasce dove nessuno la vede. Cose abbandonate in un mare di nostalgia, fra la saggezza della quercia e l’armonia del faggio, perse nel cerchio delle fate o dietro al volo di un’aquila. La vita resiste anche quando nessuno ci crede. Anche in una lettera mai spedita. Anche quando siamo spezzati a metà. 
A volte non resta che ballare, illuminati da lucciole e fiammelle, cullati da una ninna nanna. 
Grazie Acustica per questo tempo arredato di musica e parole e per quei ricordi che in questo accenno d’inverno, scaldano, fra il chiaro e scuro di un falò.
“Ma lo sai amico mio, cosa significa sentire i grilli cantare?”
“Che siamo ancora vivi”.
albiabba@libero.it