Fermo immagine di Alberto Abbà

L’ultima piola

La cerco in mezzo a quelle case di pietra e non la vedo. La pallida scritta, trattoria, incastonata nel muro, ne indica la posizione. Qualche gradino e ci sei. All’entrata ti accoglie il calore di una stufa a legna e un saluto a voce alta. Tovaglie rosse di stoffa protette da un nylon, più facile da pulire. Salumi gustosi, formaggi profumati. Le parole si sciolgono, come la fontina su un fetta di polenta, accarezzate da qualche sorso di Dolcetto d’Asti. Fuori, di guardia, la Testa di Comagna, il vanitoso Monte Avic, le eleganti Dame di Challand, quest’anno poco orlate di bianco. Le storie di Cognetti, che qui vicino ha narrato vite e vita. E quelle del signor Carlo, singolare maestro romano, sempre alla ricerca di sentieri e di antichi ru.
Costine e spezzatino, patate e peperoni. Accompagnano discorsi di progetti futuri, di intime fragilità, di sorrisi per una battuta leggera. Alle pareti una testa di camoscio osserva, fra fotografie dei rally e squadre locali di quel “baseball” nostrano chiamato Tsan.  Paolo ce lo spiega, mimando gesti e descrivendo regole e punteggi, fatti di attrezzi di legno, colpi al volo e distanze.
Una licenza agricola del 1918, l’autorizzazione ad una squadra di vigili del fuoco del 1943. 
Egidio è cortese e fra un piatto e l’altro racconta senza invadere. Trova, fra cucina e servizio, anche il tempo di farsi stampella per la mamma anziana. Quattro digestivi allineati ti preparano al rientro notturno a piedi. La temperatura è sotto lo zero, circa mille i metri di altidudine del paese. Poche luci dalle case e là fuori nel buio, miniere abbandonate, insieme alle speranze dei cercatori d’oro.
A quel prezzo non ci credi, per una cena così, verace, come quella stretta di mano.
La discesa è un cielo stellato senza luna, una pila frontale a illuminare, un cane che abbaia e una ninna nanna sulla magia della vita dell’ultimo Gaber.

albiabba@libero.it