Fermo immagine di Alberto Abbà

La prima nota bella

Mi capita di passare, al fondo della piazza di paese, davanti a quel caseggiato bicolore, circondato da una recinzione a proteggere. Al centro un piccolo giardino. La ghiaia nel cortile traccia i percorsi per accedere a quegli scalini che portano ai corridoi interni e alle aule.Un arco abbellisce la porta di accesso e proprio lì, la bidella dai capelli lunghi e dal camice blu, aspettava i ritardatari, che arrivavano di corsa dopo il suono della prima campanella.
Le scuole elementari restano scolpite nei ricordi, in quegli anni che dai sei portavano alla prima decina. Guardando quell’edificio, nella parte sinistra, al primo piano, c’è una finestra che si affaccia sullo spiazzo. Nella bella stagione, dalla porta poco distante e scendendo qualche gradino, si accedeva al giardino per fare l’intervallo all’aperto. Porta e finestra se ne stanno quasi affiancate e a me viene da sorridere.
Proprio da quella finestra aperta, in una tarda primavera targata anni ottanta, mi lanciai di sotto, al suonare della ricreazione. Mi sembrò un salto epico, di metri, da eroe e non solo di giornata. A guardare oggi, con le giuste proporzioni, saranno stati due metri scarsi. A quell’età misuravamo con un’altra unità di misura altezze e distanze. Tutto sembrava più grande.
Quel salto non mi fece vincere nessun premio, ma mi costò la prima nota dalla maestra e la prima richiesta del diario: “Alberto al posto di uscire per l’intervallo, come tutti i suoi compagni, dalla porta, è saltato dalla finestra” con richiesta di doppia firma da parte dei genitori.
Che quel giorno una volta a casa e vedendo che ero mortificato e comunque tutto intero, firmarono con sul volto quel misto di “ma perchè?” e divertimento.
Morale della favola? A otto anni è più bello tentare la magia del volo da una finestra (bassa) che uscire come tutti in fila indiana da una porta.