Il vecchio fabbricato è situato poco lontano dal centro. I più anziani, alzando gli occhi al cielo, fingono di ricordare la sua inaugurazione: il tricolore sabaudo affisso un po’ ovunque, gli ottoni lucidi della banda, una pacifica parata di signore eleganti e il discorso, tronfio e retorico, tenuto dal podestà in uniforme. Pare che la massima autorità del paese lo avesse definito: «Futuristico paradosso abitabile e innovazione frutto del genio italico, vanto della Città, della Provincia e dell’Impero!». Astrusità dialettiche inutili, le parole che meglio lo identificano sono due, molto più semplici e calzanti: Il “condomino strano”.
Visto dall’esterno pare un ammasso formato da 24 rettangoli biancastri, che appoggiati disordinatamente uno sull’altro, corrispondono a 24 unità abitative. Praticamente l’ incubo di un architetto di provincia messo in pratica da una squadra di muratori sbronzi, una torre di Babele di soli quattro piani, malinconica, orizzontale e sghemba.
Non esistono balconi, terrazze e manca perfino il classico tetto spiovente, così utile qui dove piove sempre e la neve imbianca ancora l’inverno. Neanche la porta d’ingresso è visibile, forse, l’unica concessione alla normalità, sono le grandi finestre affacciate sul corso.
I Passanti sono attirati dalla sua disarmonia, si fermano ad osservarlo, fanno gli occhi piccoli per non perdersi neanche un dettaglio. A volte si riuniscono in piccoli gruppi e, dopo una breve consultazione, scuotono simultaneamente la testa manifestando disapprovazione.
Ma chi abita nel condominio strano? Perché queste persone hanno scelto di vivere dentro il “pugno in un occhio” di una città tutto sommato gradevole? Cosa li induce ad affacciarsi dalle finestre di una provocazione edilizia così insolente da venire costantemente criticata?
E qui emerge un’altra anomalia. I condomini amano esporsi da quei davanzali, lo fanno spesso, forse sempre, sembrano compiaciuti di poter ricambiare con noncuranza gli sguardi impietosi dei passanti.
E’ giorno di mercato e, prima di tornare a casa, mi fermo davanti alla facciata strana. Poso a terra i sacchetti della spesa e passo in rassegna le finestre. Sembrano tanti acquari, ognuno abitato da un pesce solo. Vedo attraverso i vetri lo sguardo severo di una donna, le fessure miopi di un anziano, l’espressione dolce di una ragazza in salopette e poi occhi e ancora occhi, grandi pupille ansiose di raccontare la loro storia.
Oggi sono andato dal medico, niente di che, una semplice visita di controllo: la pressione più alta del solito, un po’ di spossatezza, la solita depressione. Il dottore, dopo aver riposto il blocco delle ricette mi rassicura: «Signor Russo, questa volta non le prescrivo alcun medicinale, le consiglio invece un piccolo cambiamento, qualcosa che interrompa la quotidianità, una novità che le restituisca la voglia di vivere».
«Potrebbe essere un viaggio, una passione, … insomma, ci pensi». Tornando a casa sorrido, parlando da solo. «Forse il dottore, con quel consiglio bizzarro, parlava delle sue esigenze». «E poi un viaggio? Mica me lo posso permettere!». «Una passione? Si, magari comprensiva di flagellazione, crocifissione e ferita al costato».«Una novità…». «Forse un piccolo cambiamento potrebbe essere realizzabile». «Ma quale cambiamento?».
Apro la porta d’ingresso del mio alloggio. Mi accolgono vecchie pareti spoglie, un divano scolpito dalle unghie di un gatto che non c’è più e la trincea di libri dietro la quale nascondo i miei fantasmi. Mi siedo, la solita sensazione di disagio, mi causa una nuova fitta di dolore.
Sono alla finestra della mia nuova sistemazione. E’ un alloggio senza pretese, ma almeno i muri imbiancati emanano profumo di fresco e, per la verità, anche un lieve sentore di colla. Adesso abito nel condominio, quello strano, e voglio anche io ricambiare lo sguardo curioso dei passanti.
Prima di affacciarmi mi vesto bene, metto la ”vestimenta” che ho indossato alla Cresima, non la mia cresima, quella di mio nipote. Mi mostro orgoglioso di quel completo fresco di lana che i miei novanta chili non mi consentivano più di indossare, ma che, stranamente, adesso mi sta benissimo.
Una donna sta guardando verso la mia finestra. La riconosco, è una mia vecchia compagna di scuola, le faccio un cenno di saluto, ecco, mi ha riconosciuto! Leggo sulle sue labbra il mio nome, lo sta sillabando: I-G-O-R.
Sono arrivato da poco ma nella mia scala, già ci sono novità. Al secondo piano, al posto della ragazza in salopette, ha appena traslocato un sessantenne con la camicia a fiori e l’aria da perenne turista. E’ curioso questo continuo avvicendarsi di condomini, probabilmente la casa presenta difetti strutturali di cui presto verrò a conoscenza o forse, con il passare del tempo, questo strano odore di colla risulta insopportabile.
Mi sono accorto di un'ennesima bizzarria. Sotto ogni finestra un graffitaro o, più semplicemente, un vandalo, ha imbrattato i muri con delle scritte. Mi sporgo dal mio davanzale, le lettere sembrano affiorare dal muro una alla volta come i numeri del lotto, le ribalto virtualmente e le unisco. Con la fatica e lo stupore di un bambino che legge per la prima volta, ne comprendo il significato. E’ un messaggio molto semplice, efficace come uno slogan e tagliente come un rasoio, c’è scritto:
Oggi ci ha lasciato Igor Russo
di anni 54.