Qualche giorno fa ho avuto la fortuna di partecipare a un incontro in cui si discuteva di attività per ragazzi.
Al di là dei contenuti proposti, sono stato colpito dal fatto che la nostra preoccupazione fosse soprattutto evitare qualsiasi “tempo morto” e strutturare in ogni piccolo particolare l’attività, senza lasciare nulla al caso. Sulle prime mi è sembrato molto bello che si prestasse tanta attenzione a far sì che i ragazzi potessero vivere al meglio e in pienezza il tempo trascorso insieme.
Chiacchierando alla fine della riunione con alcune persone, però, sono rimasto stupito nel sentire le motivazioni di un’organizzazione così puntuale che non lascia spazi vuoti e tempi morti. Quasi tutti affermavano che l’importante è non far annoiare i ragazzi.
Come mai abbiamo tanta paura che i ragazzi si annoino?
Forse perché quando succede riescono a inventare qualcosa che sfugge al nostro controllo e rompe i nostri schemi o semplicemente smuove la nostra tranquillità di adulti. Quando un ragazzo si annoia, la sua mente non è più impegnata in uno schema o in una direzione, ma ricerca un percorso proprio. La noia è il presupposto perché il ragazzo possa esprimersi non secondo schemi di altri, ma a partire da sé. Forse è proprio questo che fa paura.
Ma perché anche a noi adulti la noia crea un tale disagio da portarci a evitarla in ogni modo?
Colpisce come gli ambienti in cui si è costretti semplicemente ad aspettare senza far nulla siano diventati i luoghi in cui maggiormente ci si aggrappa allo smartphone per evadere e per non sentire la noia.
Perché anche noi adulti abbiamo così paura di annoiarci? Perché è così difficile tollerare la noia?
Forse perché la confondiamo con l’apatia, con quella sensazione di indifferenza nei confronti di tutto, che impedisce di trovare le forze anche semplicemente per alzarsi dal divano. Ma le due condizioni sono ben diverse. Forse fatichiamo a tollerare la noia perché porta a un incontro con sé stessi e la cosa non sempre è facile.
Gli esperti ci dicono che quando il cervello non deve affrontare stimoli e compiti specifici, la sua attività si concentra nelle zone deputate alla coscienza di sé e all’elaborazione della propria storia personale. Per questo quando non si ha niente da fare o nulla a cui pensare si ha la sensazione che la propria vita si presenti con tutte le sue incongruenze, le contraddizioni e le fatiche.
Il “dolce far nulla” obbliga il nostro sistema mentale a pensare a sé stesso e a compiere libere associazioni. Per questo è così difficile stare soli e senza far niente. In quei momenti siamo anche più vicini al nostro inconscio, alla nostra follia, a ciò che di noi non è pienamente in nostro potere.
Del resto, è proprio la capacità di avere coscienza di noi stessi, di provare noia, a distinguerci dalle altre specie animali. E questa capacità può generare ansia, specie per chi vi è già predisposto.
Nel nostro mondo siamo stimolati continuamente, ma siamo bombardati da stimoli a “bassa intensità” (notifiche, gossip), che richiedono poco più di una manciata di secondi per essere compresi per poi svanire nel nulla.
Sembriamo perdere progressivamente la capacità di non far nulla, o semplicemente di tollerare la noia.
Questo lascia poco spazio per la riflessione, l’approfondimento, o il semplice lasciar vagare la mente.
Non vale la pena di provare ad annoiarci e a lasciare per una volta lo smartphone in tasca?
luca margaria